Mi chiamo Flavio Zanarella e sono un business angel. Nella mia carriera ho avuto molti successi e sperimentato molte cose, ma ci sono alcuni momenti, alcuni ricordi, a cui sono particolarmente affezionato e vorrei condividere con voi. Questo è il primo, spero che lo apprezzerete.
Erano le sei del mattino e ancora non potevo crederci. Era finalmente arrivato. Dopo non so più nemmeno quante settimane e un viaggio interminabile direttamente da Los Angeles era finalmente lì ad un passo da casa mia.
L’enorme bilico si stava facendo strada nella via per prepararsi alla manovra, cercando di allinearsi al cancello che portava dietro casa nostra. Data la larghezza del camion far entrare quel colosso in retromarcia nel vialetto richiese ben venti minuti di sforzi da parte dell’autista, che si trovò costretto a bloccare totalmente il traffico con ben poca comprensione da parte degli automobilisti, che non si risparmiarono certo di “esprimere il proprio disappunto” fra clacson e parole.
A me però non importava niente di quanto stava succedendo in strada: il mio futuro, quello di Flavio Zanarella, era dentro quel tir.
Fare borse, questo era il mio progetto di business. Non le borse di cuoio, quelle d’alta moda per signora firmate da stilisti. Borse di carta, shopper personalizzate da vendere alle varie catene di negozi. ed ora il macchinario che avrebbe permesso di iniziare tutto stava per essere depositato nel mio giardino.
Noi tre, io e i miei due fratelli, ci eravamo imbarcati insieme in quest’impresa e finalmente ci sentivamo ad un passo dalla meta. Avevamo anche chiesto ad un nostro amico, un nostro vicino che aveva un consorzio agricolo a circa un 1 chilometro da casa nostra, per aiutarci a scaricare il materiale e sistemare il tutto il più velocemente possibile.
Mi sembrava di essere finito in mezzo ad un film americano: io, Flavio Zanarella, piccolo aspirante imprenditore con un sogno e poco in tasca, avevo appena ricevuto un macchinario per avviare la mia prima azienda con solo il sudore della mia fronte in una scalata al successo.
Mancava giusto una colonna sonora adatta e poteva essere proiettato direttamente in sala. Scattai anche delle foto quella sera, molte foto a dire la verità.
Volevo documentare ogni momento del nostro nostro passaggio da sognatori ad aspiranti imprenditori e, ancora oggi, ogni volta che le guardo vengo travolto dalle emozioni e dai ricordi di quel giorno.
Nel frattempo il guidatore aveva appena finito di posizionare il mezzo davanti al capannone che nostro padre ci aveva lasciato a disposizione per trasformarlo nella nostra prima “fabbrica” e si stava apprestando a il suo prezioso carico.
Eravamo lì di fronte alle porte del bilico, mentre l’autista sbloccava le chiusure, in un silenzio quasi religioso e con il cuore che batteva all’impazzata per l’entusiasmo.
Ci aspettavamo di vedere un macchinario lucente, quasi fantascientifico, pronto a catapultarci nel nostro splendente futuro di giovani imprenditori.
Quello che si si parò di fronte a noi una volta aperte entrambe le ante però…fu un vero e proprio rottame, e credetemi quando dico che uso il termine nel modo più gentile possibile.
L’apparecchio era totalmente smontato, senza alcun libretto di istruzioni o simili su come dovesse essere assemblato, vecchio almeno di quarant’anni e vistosamente arrugginito, quasi a voler sottolineare il fatto che non fosse stato usato da una vita.
Oltretutto l’intero macchinario era ricoperto da uno spesso strato di polvere di carta, un residuo che si crea durante la lavorazione della materia prima, e con i motori elettrici tarati sullo standard americano, dato che il macchinario stesso arrivava dagli U.S.A., impossibili da collegare direttamente alle rete elettrica italiana.
La nostra delusione era enorme, nessuno di noi aveva nemmeno lontanamente considerato una simile eventualità. Noi credevamo di ritrovarci con il nostro e invece ci era stato dato un ammasso di ferro e bulloni.
Incredibilmente però il nostro entusiasmo era ancora intatto, dentro bruciavamo ancora con il fuoco della passione. Nonostante il suo stato quello era il macchinario di cui avevamo bisogno per iniziare la nostra avventura e, in un modo o nell’altro, l’avremmo fatto funzionare: era una sfida che non volevamo assolutamente perdere.
Finimmo velocemente di scaricare tutto e chiedemmo al nostro amico quanto gli dovevamo per il suo aiuto. Lui ci rispose:<<Niente. Niente ragazzi. Tanti auguri.>>
Non so se in quel momento gli facemmo pena per la nostra situazione e si vergognò di chiederci qualcosa, ma io apprezzai quel piccolo gesto di solidarietà verso noi ragazzi di cui lo ringrazierò sempre.
Adesso restava solo da rimettere insieme e far partire quel mucchio di ferraglia…ma questa è un’altra storia.